Teatro

Ricordando Irène Nemirowsky. Intervista ad Alessia Olivetti

Ricordando Irène Nemirowsky. Intervista ad Alessia Olivetti

Il 30 maggio, arriva al Teatro Araldo di Torino, lo spettacolo "Il Ballo di Iréne", scritto e diretto da Andrea Murchio, interpretato da Alessia Olivetti, in una serata a favore della UILDM, associazione per la lotta alla distrofia muscolare.
Lo spettacolo racconta la vita di Irène Nemirovsky, scrittrice ebrea morta ad Auschwitz nel 1942 dopo aver viaggiato per mezza Europa e trionfato a Parigi grazie ai suoi capolavori letterari come “David Golder” o “Il Ballo”. Romanzi entusiasmanti, che all'epoca rivelarono una fuoriclasse della scrittura e che - con l'avvento del cinema sonoro - divennero soggetti cinematografici di grande successo. Attraverso ricostruzioni documentaristiche dell'epoca (e con radiogiornali elaborati ad hoc per la messinscena teatrale) si riscopre l'esistenza di una donna e l'identità negata - prima dal nazismo, poi dall'oblio della Storia - di una sensazionale scrittrice, il cui ultimo testo, “Suite Francese”, è stato dato alle stampe per la prima volta soltanto nel 2005, dopo che per anni il manoscritto era rimasto nascosto nella valigia che la Nemirovsky aveva lasciato alle sue due figlie, Denise ed Elizabeth, prima della sua deportazione. La scrittura era la sua più grande soddisfazione. Attorno a sé, nell'allestimento teatrale diretto da Andrea Murchio, ci sono gli oggetti che danno il senso dell’intreccio tra la vita privata di Irène e la Storia, come la macchina da scrivere, compagna fedele di emozioni e sentimenti e la valigia, per fuggire dalla persecuzione, ma al tempo stesso piena di ricordi.

Alla scrittura del testo, opera di Andrea Murchio, ha collaborato Bruno Maida, docente di storia contemporanea alla Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Torino, esperto di Shoah e dell’infanzia Sheh, dei bambini sopravvissuti alla Shoah, il quale afferma:
"Quella di Irene Nemirovsky è la straordinaria vicenda di una donna, di una scrittrice, di un’ebrea, di una madre che attraversa l'Europa e la prima metà del Novecento alla ricerca di se stessa, di un’identità riconoscibile e riconosciuta, di un ruolo pubblico come intellettuale, di una definizione più o meno consapevole della sua ebraicità che si colloca in un attraversamento complesso e drammatico dalla Russia dei pogrom alla Francia di Vichy. Ormai conosciuta dal largo pubblico per i suoi romanzi e racconti tradotti in questi anni in Italia, la rappresentazione teatrale della sua breve esistenza consente una riflessione sull'Europa degli anni Venti e Trenta, nella quale la società di massa si stava affermando, un sentimento di grande trasformazione imminente attraversava le menti e i cuori di grandi masse di persone ma anche i germi di una feroce intolleranza crescevano e si diffondevano rapidamente. Irene Nemirovsky lottò strenuamente per affermare il suo essere scrittrice e cittadina francese, per imporre una narrazione capace di coniugare la drammaticità delle esistenze raccontate con la feroce critica di un mondo tutto rivolto al denaro come simbolo di affermazione, di riconoscimento sociale ma alla fine condizione di un insuperabile scacco esistenziale. Ma Irène fu anche la rappresentazione di un’identità ebraica tutt’altro che lineare, sempre sul confine tra assimilazione e integrazione. "

Il ballo di Irène”, racconta in prima persona attraverso il corpo e la voce dell’attrice Alessia Olivetti, le vicende private di Irène Nemirowsky, in particolare il rapporto con la madre, con il padre, e poi con gli editori, in parallelo con i grandi e tremendi fatti che accaddero in Europa fra l'inizio del XX secolo e il 1942, anno della scomparsa della scrittrice.
Irène ripercorre tutta la propria vita fin dalla fanciullezza, ricordando i frequenti trasferimenti della sua famiglia, narrando avvenimenti che hanno fatto la storia della prima metà del Novecento e soffermandosi più a lungo sugli episodi che hanno segnato in maniera indelebile la propria vita di donna e di scrittrice. Irene soffrì per il rapporto tormentato con la madre, di cui non condivideva la frivolezza e la superficialità, a cominciare dalla libertà sessuale vissuta addirittura dentro le mura domestiche, ma trovò conforto e un valido punto di riferimento nella figura paterna, che seppe insegnarle valori fondamentali come l'amore per la famiglia, un sentimento che Irène porterà sempre nel cuore. La sua vita scorre toccando fatti importanti per la storia più recente dell’umanità; sono sia fatti sociali, come la nascita del cinema o l’avvento delle comunicazioni di massa (Irène addirittura pubblicò i suoi primi scritti in periodici antisemiti), sia fatti meno felici, come la Rivoluzione Russa, le Guerre Mondiali e il dopoguerra, e poi l'occupazione tedesca della Francia e le persecuzioni naziste. Il suo racconto è quindi una storia nella storia, cioè la narrazione di un'esistenza descritta nella cornice degli avvenimenti del tempo. E quelli non erano tempi facili, anche se poi la vita a Parigi seppe dare a Irène serenità, soddisfazioni e la gioia di due figlie. Proprio loro furono eredi innocenti di questa testimonianza di vita, perché hanno conservato alcuni manoscritti inediti della madre, ma soprattutto perché sono sfuggite alle deportazioni.
Nelle sue riflessioni non c'è né pessimismo né rassegnazione, ma c'è tanta speranza e un'immensa voglia di vivere. Irene ricorda, riflette, parla con sé stessa e si emoziona....e tutto questo lo fa con la leggerezza di una danza. Sembra che balli Irene…

Lo spettacolo su Iréne Nemirowsky è stato fortemente voluto dalla sua interprete Alessia Olivetti. La giovane attrice torinese, interprete teatrale, ma anche di varie pubblicità e corti cinematografici (come il fortunato “Overbooking” di Michele Mortara, con Ivano Marescotti, oppure come “Il riscatto”, di Silvia Saraceni, con Alessio Boni) è stata attratta dalla vita di Irène Nemirowsky al punto di leggere tutto quello che l’autrice ha scritto e di decidere di volerla interpretare sulla scena.

Alessia, come mai hai deciso di fare uno spettacolo su Iréne Nemirowsky?
A.O.: Io adoro leggere le biografie. Ho letto la biografia di Irène. Mi sono innamorata di questo personaggio. Mi sono comprata i suoi libri. Ho letto prima “Suite francese”, poi “Il ballo”, “David Golder", i suoi monologhi, ...
Mi frullava nella testa l’idea di fare qualcosa a teatro su questa scrittrice, appunto perché mi ero innamorata della sua storia, di questa valigia, ....
Sono andata a Parigi con Andrea [Murchio, autore e regista dello spettacolo, ndr]. La prima immagine che ho visto scesa dalla metropolitana è stata quella di Irène Nemirowsky, perché stavano facendo una mostra in memoria della Shoah. Al ché ho detto “E’ destino! Devo fare qualcosa su di lei!”. Da lì è partito tutto.
Andrea ha scritto il testo, ho conosciuto Dénise, la figlia. Ho letto “Mirador. Irène Némirovsky, mia madre” di Elisabeth Gille, l’altra figlia. Una biografia, non inventata, perché non è inventata, però è un discorso a due tra lei e la madre, anche se, in realtà, lei la madre l’ha conosciuta per pochissimi anni perché poi è stata deportata quando Elisabeth era piccolissima [Elisabeth è nata nel 1937 e la madre è stata deportata nel 1942, ndr].
E quindi è andata avanti così.

Quindi sei in contatto con Denise, la figlia di Irène…
A.O.: Elisabeth è morta qualche anno fa. Io ho conosciuto Denise alla presentazione di “Mirador. Irène Némirovsky, mia madre” di Elisabeth Gille, nel settembre scorso a Pordenone e la mantengo aggiornata sullo spettacolo.
Il mio desiderio è di portarlo in Francia e farlo in lingua francese, anche per farlo vedere a Denise! Il mio desiderio più grande sarebbe di farlo vedere a Denise come omaggio a sua madre… Ho mandato in traduzione il testo…

So che avete allestito "Il ballo di Iréne" nello scorso gennaio per il giorno della Shoah in provincia di Torino… avete fatto debuttare lo spettacolo pensando a questa ricorrenza?
A.O.: Il primissimo debutto è stato lo scorso maggio per la Festa del libro a Roma. Poi l’abbiamo rappresentato a Torino per una serata a favore della U.I.L.D.M., lo scorso anno, dopodiché l’abbiamo portato per la Settimana della Memoria nella provincia di Torino e alla Comunità ebraica di Torino che appoggia pienamente il progetto e poi lo abbiamo fatto a Roma dal 26 al 29 aprile scorso per presentarlo a Roma.
E adesso lo rifaremo a Torino, ci tengo molto, per una serata a favore della UILDM, una parte dell’incasso andrà per la lotta contro la distrofia muscolare, il 30 maggio.

Chi sono le tue attrici preferite, quelle alle quali ti ispiri?
A.O.: Audrey Hepburn!... Grace Kelly,… In realtà, attrici non contemporanee… tranne Meryl Streep e Nicole Kidman, alle quali sono particolarmente affezionata.

Tu lavori in Italia, tra Roma e Torino, ma vai spesso in Francia. Trovi che ci siano delle differenze tra il teatro italiano e quello francese?
A.O.: Ma, in realtà, c’è proprio un abisso tra la cultura in Italia e la cultura all’estero. Nel senso che in Italia è meno apprezzata, completamente. Non c’è l’abitudine di andare a teatro, per esempio.
Oramai il teatro è quasi collegato alla televisione, quindi se c’è il personaggio televisivo, comico, piuttosto che la valletta di turno, allora vado a teatro, ma quello personalmente non è teatro.
Purtroppo viviamo un momento di crisi forte in Italia. Però io credo che in questo momento vincano le idee.
Soprattutto continuo a dire a tutti i miei colleghi “vince la depressione”, “In Italia non si fa niente!”.
Ma sostengo che dalle ceneri possa rinascere qualcosa di molto bello.
Almeno questo lo sto vedendo dal mio percorso. Anche con “Il ballo di Irene”: sta vincendo l’idea, l’onestà intellettuale dell’idea.
 

Quale è il personaggio teatrale che ancora non hai interpretato e che vorresti portare in scena?
A.O.: Ofelia,… sì, sì Ofelia!
 

Grazie per l’intervista… e, come si suol dire, “tanta merda!”